Il tango potrebbe avere altri nomi: droga, cambia-vita, mestolo-intruglia-anima, abbraccio-dipendenza, scintilla-di-un-corpo-anzi-due. Alla fine, il migliore resta “tango”, tutti gli altri parlano se non altro degli effetti. E volendosi concentrare sugli effetti, forse “droga” è il più esplicativo.
Che cosa accade quando varchi la soglia di questo mondo? Un animale selvaggio ed empatico – un animale allo stesso tempo dolce e severo, giocoso e serissimo – ti agguanta e ti conduce nella sua tana. Finisci in una Buenos Aires immaginaria e reale, che si frammenta in un caleidoscopio di altri luoghi del mondo e dell’anima.
E poi? Poi cosa accade ancora, quando inizi a ballare tango? Accade che precipiti dentro un’idrovora, una lavatrice magica, uno scivolo lungo chilometri, un tubo digerente che più ti digerisce più vuoi esserne digerito.
Il punto è che cambia all’incirca, più o meno, approssimativamente, a spanne… tutto. Orari, relazioni con le persone, amicizie, desideri, immaginazioni, programmi per il weekend, per le vacanze, per i viaggi, programmi per la vita.
Il tango diventa un’esperienza totalizzante. Non è una cosa che si riesca a prendere con il contagocce. O ci si immerge nel mare o non è tango.
Quasi non vedi più i vecchi amici, te ne fai di nuovi, improvvisati, profondi, toccanti. Modifichi la scansione delle giornate, stravolgi i ritmi, cerchi ossessivamente milonghe (dove, dove, DOVE posso andare a ballare stasera?), rincorri le lezioni, dormi poco, al lavoro sei uno straccio: borse, occhiaie, corpo stralunato, corpo che si rianima verso le dieci di sera, non appena respiri l’aria di una nuova ronda. Fame, curiosità, inebriamento. Visioni. Attesa elettrica, gioia furente, mini depressione post-fine. Disillusioni alcune, ma sempre in quantità minore rispetto alle illusioni. E poi abbracci abbracci abbracci. Ancora, per favore: ancora.
Una volta entrato nel tango, comincerai ad avere tutti i sintomi delle malattie d’amore.
A me è accaduto così. All’improvviso nulla era più interessante del tango.
Tutto veniva dopo. I dialoghi erano deliranti, la risposta sempre la stessa.
«Scusa, che fai?»
«Tango».
«E cosa respiri?»
«Tango».
«Come si chiama quel tuo amico?»
«Tango».
«Ieri eri a…?»
«Tango».
«Perdonami, ti ho interrotto, mi stavi parlando di…?»
«Tango».
A distanza di qualche anno dall’inizio della mia “dipendenza”, ho rivisto una persona con cui avevo perso i contatti. Mi ha raccontato di aver chiesto a un comune amico: «Oh, ma G. che fine ha fatto?». L’amico gli ha risposto: «Boh. So solo che ha cambiato vita».
Ed era proprio così.
Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!
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