La musica finisce con un colpo metallico di bandoneon. Il silenzio ci si deposita addosso, è un dolce strato d’aria sopra i nostri corpi. Non è un silenzio assoluto – la gente intorno si muove ancora tutta –, è quel silenzio tra me e te dopo il primo brano della tanda.
C’è un po’ di imbarazzo: non ti conosco, non mi conosci. Forse dovremmo dirci qualcosa? O forse è sufficiente aspettare così, per qualche secondo.
Tu decidi che dovremmo dirci qualcosa.
«Come ti chiami?»
«Anna. Tu?»
«Mirco».
«Mirco! Ciao Mirco».
«Ciao Anna».
Altro piccolo imbarazzo. Ora che abbiamo iniziato a parlare, forse dobbiamo continuare. O forse possiamo fermarci, e aspettare così, per qualche secondo.
Tu decidi che dobbiamo continuare.
«Che lavoro fai, Anna?»
Complimenti – penso – sei riuscito a trafiggermi con una delle domande più noiose che potessi farmi il venerdì sera.
«Lavoro all’università. Filosofia».
«Filosofia». Mirco si gratta il naso. «Fico».
«Già. Fico». Dentro di me imploro il dio del tango che la cosa finisca qui.
«Ma filosofia tipo cosa?»
Alzo gli occhi al cielo, o meglio, immagino di farlo.
«Filosofia tipo Hegel e quella gente lì». Sorrido, supplicando comprensione, sorvolamento, pietà.
«E che cosa diceva Hegel?»
Sei serio, Mirco? Tu vuoi davvero che adesso, in questi dieci secondi che ci separano dal prossimo brano, in questi dieci miracolosi secondi che avremmo per ascoltare i nostri corpi e tutte le sensazioni del dopo e dell’appena prima, vuoi davvero, dico, che dopo una settimana in cui mi sono consumata gli occhi su libri, computer, lavagne, banchi con graffiti, scaffali della biblioteca, PowerPoint, articoli, tesi di laurea, pagine e pagine e pagine, vuoi che io, in dieci titubanti secondi prima di nuovi battiti di tango, ti faccia un sovrumano riassunto di cosa ha detto Hegel?
Ma perché piuttosto non mi chiedi – che so – quando è stata l’ultima volta che ho mangiato con gusto un gelato? Perché non mi chiedi se oggi sono felice? Perché non mi chiedi se mi piace il profumo dei tigli, o certi modi delle dita di posarsi sulla schiena di un’altra persona? Perché non mi chiedi se credo che ci sia un rimedio alla tristezza da stagioni della vita che finiscono o se penso che sia possibile guardare un fiume come si guardano le ultime scene di un film? Perché non mi chiedi, piuttosto, qualcosa che non mi aspetto?
Oppure, Mirco, perché non restiamo in silenzio? Quel bel silenzio tra me e te, quel modo di sfiorarci le anime attraverso il ballo e senza fiatare. Perché, Mirco, non ci diamo questa possibilità?
Guarda, Mirco, preferisco l’imbarazzo del silenzio. Preferisco dondolarci nel non sapere, nel non conoscerci, in quel vuoto da musica che per un attimo sparisce e ci lascia senza una copertura per abbracciarci, preferisco abbassare gli occhi oppure guardare i tuoi, ma senza dire una parola. Preferisco l’energia che ci fa riavvicinare quando le prime note della nuova canzone ci raggiungono, e vibrare dentro e aspettare, e accogliere tutto quello che sento e sentiamo.
Preferisco quel modo di tremare, guardarci, non guardarci, un po’ capirci, un po’ non sapere chi siamo e non saperlo mai.
Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!
Stella says:
Toccante e decisamente empatica la descrizione per quanto riguarda il mondo del tango
Fabio says:
Bella descrizione che mi riporta a quei momenti e a quelle sensazioni . Si . Meglio uno sguardo , un sorriso e un nuovo abbraccio .
Mimmo Siena says:
bellissimo…meglio uno sguardo silenzioso…per poi tornare in abbraccio-tango…