La Florída (o del tango sottile)

23 Febbraio 2019

La città ha un fiume. E lungo il fiume, in una sala con le vetrate colorate e un pianoforte che nessuno suona, hanno aperto una milonga. La chiamano Florída, offrono torte invece di salatini, danno caffè al posto del vino, non mettono cortine per separare le tande, lasciano un unico flusso di musica.

Nessuno sa per quanto funzionerà, ma intanto funziona.

Al centro della sala ci sono due colonne, fili di lampadine le percorrono come un’edera. Sul fondo, vicino al pianoforte che nessuno suona, hanno sparso dei divanetti ripescati da una vecchia taverna, una dozzina di sedie, qualche tavolino. Florída non deve essere più di quello che è.

Nessuno sa per quanto funzionerà, questa storia del non essere più di quello che si è, ma intanto funziona.

Le coppie di ballerini circolano attorno alle colonne, se ne tengono a distanza, sono punti di riferimento, come quelle cose che nella vita non si toccano ma indicano la strada.

Gustav e Marga hanno appena cominciato a ballare. Lei è un armadio, un tempio, una benedizione. I suoi cento chili si muovono sinuosi, si adagiano come la crema della millefoglie. Indossa una specie di saio indiano, scuro e floreale. Lui non ha barba, ma porta un baffo texano che pende con la stessa gravità di un tentacolo di piovra, la sua camicia sembra avere le decorazioni del Bacio di Klimt. E lei è meravigliosa, e lui pure. E lei gode tutta della musica e si vede che le scoppia il cuore di gioia e le mani di gioia e il sorriso e i pensieri di gioia. Alza un po’ il mento verso l’alto, lo sguardo ispirato, gli occhi chiusi-chiusi (ma morbide le palpebre) e le labbra che le occupano tutte le guance. Le è morto un figlio sette anni prima. Suonava il bandoneón. Marga ha iniziato a ballare per continuare a tenersi stretto quel figlio. Lo rincontra ogni volta che la musica si fa più intensa e ritmata, ogni volta che la musica avanza come un esercito di cavalli. Le sembra di riaverlo in grembo, ed è felice.

Jiro e Linda sono abbracciati da almeno nove brani. Lei sta dentro un vestito nero lungo, dagli ampi spacchi ai lati escono gambe ancora sode nonostante l’età. Jiro è giapponese, ai giapponesi è impossibile dare un’età. Potrebbe avere cento anni e ballare da centoventi, potrebbe avere vent’anni e ballare da ieri. Muovono i piedi in modo strano, ma dal bacino in su sono una poesia. Lei scrive poesie, in effetti. Nessun editore le ha mai accolte. Così ha deciso di ballare tango, dove accogliere è la prima regola del gioco perché il gioco sia vero.

E poi alla Florída c’è lei: Ramona. Nove decadi o forse quasi dieci. È più vecchia del pianoforte rotto che nessuno suona, più vecchia delle colonne e delle vetrate, ma non del fiume.
Indossa pantaloni comodi e uno di quei maglioni invernali in stile natalizio, con fasce concentriche che si irradiano dal colletto e decorazioni varie: cristalli di ghiaccio, renne, stelle alpine.

Sta a malapena in piedi, ma quando arriva il suo amico che la solleva con dolcezza e la guida per mezzo giro della pista, mantenendosi all’esterno della ronda, lei alza lo sguardo e apre la bocca di stupore e bellezza. Ha ancora gli occhi pieni d’oro, forse vede il futuro. La sua vita è appesa a un filo e quel filo è appeso al tango.

Nessuno sa per quanto funzionerà, questa storia del tango che tiene in vita, ma intanto funziona. Ed è questo che voleva Miguel quando ha aperto la Florída e ha deciso che non doveva essere né più né meno di quello che era.

Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!

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