L’architetto di Buenos Aires possiede un’elegantissima casa semi-vuota con quadri per terra addossati alle pareti.
Addossati, non appesi. Lo stile è questo. Sembra vada molto di moda, e non solo in Argentina. Regala quel senso di non convenzionale, quell’aria da: “ce n’est pas un tableau”.
L’architetto di Buenos Aires indossa camicie blu di stoffa pregiata, qualche minuscola fantasia bianca, come dei fiorini, dei simboli di carte da gioco. Se fa fresco, mette appena un gilettino imbottito senza maniche.
Ha modi cordiali, anzi, cordialissimi. Il capello bianco, lungo, raccolto in una coda. Una stempiatura signorile, da attori inglesi che recitano la parte di Mr. Bennett nella versione filmica di “Orgoglio e pregiudizio”.
Due pareti del suo salotto sono di un rosso cupo-elegante, quel tipo di rosso che puoi sopportare di avere nella stanza in cui trascorri la maggior parte del tempo. Attraverso il soggiorno si accede a una specie di veranda con tavolini e suppellettili, da lì scende una scala che porta al giardino: piscina, prato, gazebo, sedie da relax.
La compagnia di amici tiene in grande considerazione l’architetto di Buenos Aires, gli chiedono consigli sulle case, sui prezzi, se una certa casa valga un certo prezzo. Lui risponde con senno, valuta le variabili, calcola i pro e i contro, parla con voce calda, senza mai alzare il volume oltre il melodioso.
Ma c’è una cosa che sfugge a Buenos Aires e forse all’Argentina in generale: i bagni. Persino il bagno della reggia dell’architetto è po’ scalcinato. Qualche piastrella rotta, qualche scarico otturato, qualche sanitario incrostato, con patine ormai ineliminabili. Patine in cui specchiarsi nel tempo; nella povertà che forse non era lì, ma sicuramente era altrove; nella memoria ingiallita; nella povertà ingiallita che forse non era lì ma era nel tempo e nella memoria e nell’altrove e, alla fine, anche nella casa dell’architetto. Quella casa con la scala per scendere nel patio e rilassarsi sotto il gazebo e stare attenti a non cadere nella piscina.
E i water. A Buenos Aires sfuggono anche i water. Con quella pozza d’acqua sempre a pozzeggiare galleggiare bolleggiare, superstare. Quella pozza in cui si raccoglie un’ulteriore dose di memoria, ambrata, galleggiante, bolleggiante, pozzeggiante, superstante.
Anche questo è tango, dico a me stessa mentre tiro lo scarico del water del bagno della casa dell’architetto di Buenos Aires dell’Argentina del mondo. Non può essere tutto perfetto. Se lo è, vuol dire che non ha un cuore.
Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!
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