Di chi è il mio corpo?

15 Dicembre 2018

Le avevano detto che il corpo era suo. Era suo, vero? Certo che era suo. E si era iscritta a un corso di tango per farlo diventare ancora più suo. Sapere come sollevare un braccio nel momento in cui lo si vuole sollevare. Muovere i muscoli della pancia essendo consapevoli di muoverli, chiamarli per nome. Allungare una gamba dietro l’altra accarezzando il pavimento, e sentire la gamba, sentire la pianta dei piedi, sentire l’attrito. Spostare le vertebre, le ossa, il sangue. Le avevano detto che il tango aumenta la percezione. Che chi non ha mai ballato tango ha un corpo solo a metà. 

Così l’aveva fatto: si era iscritta. Un’amica l’aveva accompagnata al corso. Era smontata dalla macchina dicendole «vedrai», le aveva aperto la porta della scuola dicendole «non riuscirai più a farne a meno».   

Dopo la prima lezione, anche solo camminare era diventato un problema. Alla seconda si era un po’ ridimensionato, sebbene si fosse aggiunto quel “fuori binario”. Alla terza: tutto molto meglio. Alla quarta: un incrocio. Quinta e sesta di consolidamento. Alla settima lezione, il maestro propone il movimento dell’ocho. Sembra bello, a vederlo fare. Sembra perfino semplice.

Quando lei inizia a provare il movimento, qualcosa non funziona. Tante cose non funzionano, a dire il vero. Con il ballerino prova e riprova. E riprova ancora.  Arriva il maestro, le mette due mani ai lati del bacino e le gira i fianchi. Tac. «Ecco, così. Serve più torsione». Sorriso, e il maestro se ne va. Prosegue verso la coppia successiva. 

Ma lei è ancora ferma al fatto che un uomo semisconosciuto le abbia avvitato il corpo come un tappo di sughero in una bottiglia di vino già aperto. È rimasta alla sensazione di uno che ti “aggiusta” da fuori perché scorge cose che tu non immagini, di uno che non si fa problemi a toccarti, non chiede permesso e dopo una visione del problema se ne esce con una mossa da medico, anche se non è un medico.

Lei è lì. Ferma. Immobile di fronte alla scoperta che il suo corpo non è fino in fondo suo. Che un altro lo può vedere meglio di lei, e perfino sentirlo meglio di quanto lei se lo senta addosso.

«Non ci farai mai l’abitudine» le aveva detto l’amica salutandola alla fine della prima lezione.

«A che cosa?»

«Ai corpi».

In generale.

Ai corpi non abituarti mai.

Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!

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