Come se fosse la mia ultima notte

20 Aprile 2019

Il sole sfolgora in mezzo al cielo di Buenos Aires, l’aria è rosa, un po’ per la pioggia sfumata, un po’ per le nuvole, un po’ per l’inquinamento. L’inquinamento poetico da marciapiedi scassati e automobili perennemente accese, calcate, a un soffio dal raschiarsi la vernice a vicenda. Eppure scivolano le une sulle altre senza toccarsi, con il brivido di potersi toccare in ogni momento, se solo il volante sterzasse di qualche grado.

L’aria rosa entra per le vetrate del Palacio San Miguel, dove Francisco Pereyra Cortez sta facendo lezione. Si è da poco cambiato la camicia, adesso risplende in un lilla chiaro ma intenso. Contrasta con la sua carnagione scura, il capello nero e folto e voluminoso, gli occhi come due proiettili lanciati verso il cuore – tutti i cuori –, e i corpi – tutti i corpi.

In confronto a Francisco nel suo regno tanguero, un leone nella savana è un anatroccolo spaurito. Francisco ha un portamento da cacciatore e da gentiluomo allo stesso tempo, mantiene il petto aperto e la postura in asse, offre il tempio del suo corpo alle ballerine. Poggia i piedi a terra come fossero mani: ha quel tipo di mobilità, di presa e ancoramento. Ma se vuole, Francisco Pereyra Cortez sa anche volare.

«El baile se ha convertido en pasos» dice Francisco, «en una serie de pasos». Ma non è così che dovrebbe essere. Il tango non è una sequenza, non è un pensare a dove metterai i piedi e in che ordine. «Hay que sentirlo aquí» dice Francisco, e si preme sulla pancia, come se ci fosse un animale che vuole uscire.

Prende la sua compagna fra le braccia, per mostrare di che cosa sta parlando. Parlare di tango è sempre un grado indietro rispetto al fare tango. Nel muoversi insieme, si vede che tra di loro si stabilisce un centro di comunicazione, come un globo di energia che li tiene connessi. Sembrano un unico blocco, ma con la flessibilità di un tralcio che si attorciglia.

«Quando balliamo, la donna non deve sentirmi da qui» riprende Francisco, indicando le spalle, «o da qui» e indica le mani, «o da qui» e indica le braccia, «o da qui» e stavolta indica la testa. «Deve sentirmi da qui» Francisco torna a indicare la pancia. «Tutto quello che sto provando e voglio trasmetterle parte dal mio centro, dal mio sentimento. Voy a bailar con esta mujer como si fuera mi última noche en la milonga».

Solo così nel tango potremo essere a un soffio dal raschiarci la vernice a vicenda.

Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!

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