Dimmi addio (ma fallo lieve)

31 Agosto 2019

Trovarono una lettera, quella mattina, nella stanza d’albergo.
La finestra era aperta. E lei non c’era più.
Guardarono in basso, ma non videro nessun corpo. Era viva. O era morta in un altro luogo.
L’avevano vista la sera prima a una milonga all’aperto, in cui il sudore si mescolava agli amori che nascono e finiscono nel tempo di una tanda-vita.

Il suo compagno la cercò per mesi. Si chiese se avrebbe dovuto dire parole diverse da quelle che aveva usato durante il loro ultimo incontro.
Non ricordava neppure quali fossero state – di preciso.
Di preciso lui non diceva mai nulla.
Lei faceva domande e lui silenzio. Lei piangeva e lui di ghiaccio.
Lei arrivava a odiarlo dopo averlo amato, e lui viveva nell’inconsapevolezza.
Lei tornava ad amarlo, ma con l’animo sfatto, e lui sempre nell’inconsapevolezza.
Lui distante, lui chiuso in una camera senza finestre.

La polizia si era portata via la lettera, non gliel’aveva lasciata. In qualche modo, non la meritava.

*** 

31 agosto 2019

Una lucertola sull’asfalto. Una rana schiacciata. Le caviglie-tronco di una vecchia che si trascina nell’estate di cemento.
Ho visto la fatica che fa la vita, a volte, a camminare.

Sai, questi miei giorni. No. Non li sai.

Non conosci il desiderio di non avere più desideri. Non conosci le mattine senza scopi né orizzonti. Non conosci i percorsi della malattia che parte dalla mente e finisce nel corpo.
Non conosci l’apatia come estrema contromisura al dolore. L’esposizione alle persone alle presenze alle influenze. L’esposizione ai silenzi ai silenti ai sentieri.

E non conosci le voci amiche, che lievi ti dicono: lascialo andare.

Chi impara a dire addio fa lo stesso percorso della vita che fatica a camminare. Prima striscia come una lucertola, si scotta dappertutto anche se ha la pelle di cuoio. Poi si sente schiacciare e schiacciato e schiaccerebbe a sua volta per soffocare il dolore. Si rialza di poco, per arrancare sui tronchi-caviglie.
E intanto.
Intanto è tutto un intanto, senza che accada nulla.

Ma a un certo punto.
A un certo punto, un giorno, ci si solleva con un peso in meno nel corpo. Appena un grammo. E il giorno dopo di nuovo. E ogni giorno meglio, e ogni ora è spesa per la libertà.

È quasi banale dirlo, ma tutto si regge su dinamiche di assenza e presenza.
Presenza batte assenza.
Ma l’assenza rivela cose che la presenza non sfiora nemmeno.

Mi chiedevi spesso: perché balli tango?
Ora lo so. Per imparare a dire addio.
Per trasformare la pesantezza a terra in radicamento alle origini. E poi darsi slancio a partire da quelle origini. Verso dove?
Ognuno ha il suo dove. Il tango moltiplica i mondi.

Mi hai tenuta sul filo e dal filo affilato sono caduta.
Ma adesso volo.

Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!

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