Arizona dream

3 Agosto 2019

Gli avevano detto che non ce l’avrebbe mai fatta. Glielo avevano detto l’insegnante di inglese alla Marcos de Niza High School, l’insegnante di nuoto, i vicini, i figli dei vicini (gli stessi con cui giocava da piccolo, sognando vite oltreoceano). Glielo avevano detto il reverendo della Church of the Holy Spirit e perfino sua madre, che avrebbe dovuto amarlo più di chiunque altro.
«Ballare non ti porterà da nessuna parte. E poi, come pensi di viverci?»
Una pausa, una mano sotto il mento, e quegli occhi misti di affetto e ansia. «Seriamente. Come pensi di vivere?»

Solo Kathy, una volta arrivato alla Arizona State University, gli aveva creduto. Ci aveva creduto. Si erano allenati insieme durante lunghi pomeriggi con il sole che scaldava i tetti senza isolamento termico. Dopo quattro ore di tango, cercando di imparare quello che potevano dai video su youtube, lui la portava al lago. Lì guardavano il modo che ha l’acqua di non curarsi di nulla se non di riflettere il cielo.

Si laurearono lo stesso giorno. Due settimane dopo lui salì su un aereo. Lo avevano deciso insieme: sarebbe partito per realizzare il suo sogno. I primi mesi a Berlino non furono semplici, ma incontrò molti maestri argentini e si formò per anni ancora più lunghi dei pomeriggi trascorsi con Kathy. Il suo stile si raffinava, la sua consapevolezza cresceva. Cominciarono a invitarlo per delle esibizioni, dopo qualche tempo iniziò a insegnare viaggiando per l’Europa: Francia, Germania, Polonia. Si fece un nome e su youtube circolarono anche i suoi video.
Ora Kathy li guarda in segreto, nel sottotetto della casa di Tempe, dopo aver messo a dormire il primo figlio.

«Non pensi mai di tornare in Arizona?» gli chiede un’allieva, mentre lui annota i presenti alla lezione. Interrompe la scrittura, alza gli occhi dal foglio. «Non lo so. Dovrei ricominciare da zero. Lì mi ricordano semplicemente come un pessimo ballerino».
L’allieva lo incita: «Ma non ti manca?»
«Che cosa?»
«Boh… La tua famiglia, la tua casa».
«Non ci penso».

Ma poi ci pensa. E rivede l’aeroporto e gli occhi di Kathy che si rimangiano le lacrime. Rivede la sua immensa forza, il suo modo di credere in lui più di quanto lui credesse in se stesso.
Gli pare di ricordare, ma forse è solo un’immaginazione del momento, che sia stata lei la prima a distogliere lo sguardo per consegnare l’altro alla propria libertà. E ricorda se stesso mentre pensa un pensiero triste.
Il saluto non è il “ciao” che dici a una persona, ma tutto il tempo che rimani a guardarla mentre si allontana.

Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!

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