Continuo a perdere ciò che non ho mai avuto

4 Maggio 2019

La fiancata del traghetto porta il nome di una donna e di una città. Silvia Ana L. Montevideo.
Silvia Ana ci accompagna da Buenos Aires a Colonia, sull’altra sponda dell’immenso Río de la Plata. È appena un’ora di navigazione, ma è quanto basta per cambiare stato e genti. L’Uruguay è di fronte a noi, anche se è impossibile scorgerlo. La larghezza del fiume vince le capacità dell’occhio umano. Le acque sono torbide, lisce, vorrei immergerci un dito per sentirne la resistenza.

Niente di quello che ho fatto prima è lì. E niente di quello che è lì l’ho fatto prima. La sensazione è che il Río de la Plata battezzi e benedica un nuovo inizio. Tutto daccapo. Tutto ripulito. Ti senti libero, eppure percepisci anche il cuore perso, perché il tuo corpo comprende molto chiaramente che quel luogo non ti appartiene e tu non appartieni a quel luogo. Ti senti scavare dentro un abisso a forma d’imbuto. Il senso di perdita per un’appartenenza mai avuta.
«È quello che fanno queste terre e queste acque» dice Giglio Pabidoro. «Ti raccontano che la libertà è un sogno e ti fanno credere che sia vero. Poi il resto tocca a te».

Al porto di Colonia saliamo sull’auto di uno dei locali che offre privatamente il servizio navetta. Sfrecciamo sulla Routa 1 para Montevideo – un’unica strada dritta tra tutto ciò che non è strada ma orizzonte.
Cavalli.
Vegetazione bassa.
Costruzioni ancora più basse.
Appena qualche palma a ridare il senso dell’altezza.
Più cielo che terra, anche se la terra è estesa.
Alcune case piene di pace, con il cornicione rosso mattone e la facciata a merletti.

Quando arriviamo a Santa Ana, un pueblito di anime tranquille e gelati nei freezer fuori dagli empori, Giglio mi porta davanti a un cartello con una mappa.
«È nato tutto da qui» dice, indicando il bacino del grande fiume. «Da una mancanza grande come il cuore delle donne e degli uomini».

Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!

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