Immagina un tamburo. Immagina che ti stiano suonando un tamburo dentro il cuore. Ora immagina che siano in cento a suonarti dentro il cuore. Ascoltali mentre si muovono come una coreografia, guardali. Guarda i corpi coordinati di chi ti sta suonando il cuore.
Ecco, sei a San Telmo.
Siamo arrivate con l’idea di andare alla milonga della domenica sera, ma il ritmo delle percussioni ci ha risucchiate nella strada antistante la piazza. I suonatori sono disposti a file, la terra vibra, le mazze rimbalzano sulla pelle tesa dei tamburi, fanno bum buM bUM BUM tutti insieme, inserendo variabili che sono come gli imprevisti della vita. Un ragazzo li dirige, fa dei segni con le mani e conta in aria dei numeri, improvvisa il ritmo delle varie sequenze, assegna una parte all’ala destra, una alla terza fila, un’altra a quelli in fondo in fondo. E i suonatori lo guardano, ricevono le istruzioni e poi ci mettono tutto il corpo, la potenza dei colpi, l’ondeggiare delle spalle, la pressione dei piedi a terra, il sudore della pelle.
Sono travolgenti. Nessuno fra il pubblico riesce a stare fermo. Delle ragazze ballano spensierate, le mani al cielo, i capelli come il vento. Gambe, gambe tatuate, braccia, braccia tatuate. Gatti tatuati su cosce di donne libere di essere se stesse. Gatti tatuati su cosce di donne con cellulite ed è poesia. E donne che reggono tamburi, africani che girano con un frigo da picnic con dentro il necessario per il mojito, giovani che si passano la birra, non si conoscono ma condividono un pezzo di vetro, un filo di saliva, una presa su un modo di sentirsi vivi, perché tutti si stanno muovendo insieme e non c’è nessuno che si muova come un altro.
Tu immagina un’onda di tamburi. Immagina un’onda di corpi e di suono.
Arrivano delle macchine e l’onda si sposta sincronica per farle passare e non smette di suonare, non smette di buttare fuori ritmo.
Ecco, sei a San Telmo.
Volevamo davvero andare alla milonga della domenica sera e alla fine ci siamo arrivate. La musica del tango si mescola al battito delle percussioni che giunge dalla strada vicina. È un miscuglio singolare. Ma non spaventa i ballerini, che nell’estate di Buenos Aires mettono scarpe comode per muoversi sulla pavimentazione della piazza.
La milonga è organizzata da un grande indio gentile. Un gigante con il lungo capello nero, spalle ampie, camicia leggera, bianca, ondulata e aperta sul davanti. È lì con sua moglie e la figlia. In molti vanno a salutarli, come fossero un punto di riferimento. Li abbracciano stretti, accarezzano una guancia alla bambina, sorridono con tutto lo spazio che le loro labbra possono offrire. A San Telmo la gente si vuole bene.
Io e la mia amica stiamo un po’ sedute a guardare e un po’ balliamo. A un certo punto lei dice: «Andiamo?»
«D’accordo».
«Ma prima, aspetta, vorrei provare a mandare un messaggio. In quel locale c’è sicuramente il wifi».
Finiamo così al bar Todo Mundo. Il wifi c’è, in effetti, ma per qualche motivo sembra impossibile stabilire la connessione. Nel frattempo ordiniamo patate fritte con la buccia e una salsa piccante opinabile. Però va bene così. A volte il sentirsi al centro della vita può avere a che fare con il mangiare qualcosa di rivoltante in un posto pieno d’energia.
Offrono un piccolo spettacolo di tango su un palco montato di fronte ai tavolini. Lui bello grassoccio ma agile, lei dentro un vestito nero che luccica. La gente li applaude, una ragazza coreana viene fatta salire sul palco da un’amica per fare un brano con il ballerino. Forse è il suo compleanno, forse vuole solo godersi il momento.
Finalmente la connessione funziona. La mia amica riesce a mandare il messaggio.
«Bene. Andiamo?»
«Andiamo».
Ingurgitiamo le ultime patatine ormai fredde e concordiamo sul fatto che siano più buone ora.
Usciamo dal bar con l’intenzione di andare a casa. Ma sulla piazza hanno iniziato a ballare una chacarera. Le coppie di ballerini si avvicinano e si allontanano. C’è un’estrema armonia, un modo di danzare per se stessi ma anche per tutti gli altri.
«Restiamo?»
«Restiamo».
Conosciamo Hernán, che ci dà un quadro dettagliato di tutte le milonge di Buenos Aires: all’aperto, al chiuso, nel week-end, durante la settimana, in estate o nel resto dell’anno.
Dopo le chiacchiere e una tanda per ciascuna, decidiamo di tornare a casa.
«Ora?»
«Sì. Ora».
E invece ci affacciamo alla porta del Bar Sur, da cui esce un omino magico che ci ha intraviste attraverso il vetro. Proprio quella sera ci sarebbe uno spettacolo meraviglioso, certo, ha il suo prezzo: 1500 pesos. Di fronte alle nostre facce su cui è dipinto un “no, no”, l’omino dice che ci farebbe lo sconto perché siamo belle. Se entriamo, paghiamo giusto il prezzo di un paio di calici. Lo ringraziamo per l’offerta ma decliniamo. Montiamo in un taxi e scorriamo nelle vene notturne della città.
A Buenos Aires la notte si trasforma in altre notti.
Quello che era stato deciso muta in nuove direzioni e strade e opportunità.
A San Telmo non puoi andare con uno schema fisso. Devi lasciarti trasportare da ciò che accade e dire sì. Sì, vita, sì.
Il tango si balla (almeno) in due. Fai girare le storie!
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